Rebecca, la bambina secca


Pochi mesi dopo il loro matrimonio, Gianna e Maurizio diedero alla luce il loro primo orto botanico. Niente figli per quella coppia di neo-sposini, non era nei loro piani, ma ogni tipo di organismo pluricellulare autotrofa era il benvenuto nel loro giardino. Dopotutto, si erano innamorati grazie all’amore per la botanica.
Una sera d’estate, inebriati entrambi per il troppo fertilizzante, fecero l’amore in un angolo remoto del giardino, dove il terreno era più soffice.
Nove mesi dopo, da quello stesso terreno, germogliò la grinzosa e giallognola Rebecca. Non era esattamente una bella bimba, aveva infatti la pelle opaca, scura e piena di rughe. Era anche estremamente esile, poco più che un secco ramoscello pronto a spezzarsi. Ma Gianna e Maurizio la accolsero con gioia all’interno del giardino: la estrassero dolcemente dal terreno, la battezzarono con il nome Rebecca e le affidarono il più bel vaso che possedevano, abbastanza grande perché lei potesse crescerci dentro. Come ogni pianta era in grado di nutrirsi autonomamente, ma era talmente secca che necessitava di essere annaffiata a lungo e più volte durante il giorno. Spesso Gianna si scordava, impegnata com’era a curare il resto del giardino e, quando accadeva, l’intero corpo assumeva un colore marroncino sbiadito, le grinze sulla sua pelle triplicavano, le foglioline sopra il capo ingiallivano e gli occhi color resina, i suoi stupendi occhi, indurivano. La voce le diventava niente di più che un gracchiare fastidioso e flebile, difficile da distinguere dal verso di una cornacchia.
In passato, Maurizio e Gianna avevano vinto numerosi premi grazie ai prodotti del loro orto, ma mai pianta fu prolifica quanto Rebecca, con le la vittoria era assicurata! La addestrarono fin da germoglio a mettersi in mostra: la appoggiavano sui tavoli dei concorsi di botanica e lei subito lanciava in aria le esili braccia e sorrideva, spalancando i bellissimi occhi color resina e sbattendo veloce le palpebre. Come bambina poteva non essere un granché, ma come pianta era davvero uno spettacolo, non si era mai visto nulla di simile!
Rebecca non poteva entrare in casa, perché secondo Maurizio e Gianna avrebbe portato troppa terra, perciò avevano posizionato il suo vaso in un angolo appartato del giardino, lo stesso nel quale era germogliata. Un angolo lontano dalle altre piante e al riparo dal sole, che l’avrebbe asciugata troppo velocemente. Perciò, Rebecca passava molto tempo da sola, bloccata nell’estremità dell’orto in cui Maurizio e Gianna capitavano solo per darle l’acqua, quando Gianna non si dimenticava.
Ogni tanto qualche animaletto passava da quelle parti e Rebecca poteva avere qualcuno con cui comunicare: un topolino che si arrampicava sulla sua testa, qualche ape che le ronzava attorno, un coniglio fuggiasco e di tanto in tanto qualche uccellino che scendeva a bassa quota.
Una notte una gazza ladra le si appollaiò sul braccio e le raccontò della vita degli alberi al di là dei confini dell’orto botanico: niente fertilizzante, boschi, ruscelli da cui l’acqua sgorgava senza sosta, fiumi addirittura!
«E come fa l’acqua ad arrivare alle piante se non hanno l’annaffiatoio?» chiese Rebecca affascinata.
«Gli alberi fuori di qui non vivono nei vasi, ma hanno le radici nel terreno» rispose la gazza, mentre si gingillava con la linguetta di una lattina, il suo ultimo furto.
«L’acqua arriva alle piante direttamente dal terreno» continuò.
«E possono averne quanta ne vogliono?»
«Sì, tutta quella che vogliono e di cui hanno bisogno»
Rebecca quella notte sognò di avere i piedi-radici nel terreno, di non avere mai sete e di avere la pelle liscia, le foglie sempre verdi e gli occhi umidi e luminosi. Al mattino si svegliò secca e con la pelle grinzosa. Gianna si era di nuovo dimenticata di darle l’acqua.

Passarono i mesi e per Rebecca arrivò finalmente il momento del cambio del vaso. Aveva aspettato impaziente quel giorno per settimane e, quando Maurizio e Gianna arrivarono insieme per sradicarla, Rebecca si fece coraggio e buttò fuori la richiesta con un’unica frase: «Vorrei tanto essere piantata nel terreno».
I due si guardarono, poi Gianna scosse la testa, estrasse gli attrezzo per il cambio vaso e disse: «Non credo sia possibile, tesoro».
«Perché?»
«Sei ancora troppo piccola» rispose Gianna, iniziando a scavare la terra nel vaso.
«Non sono troppo piccola! E poi ci sono piante che germogliano nel terreno e vivono senza mai essere messe in un vaso!» protestò Rebecca.
Maurizio si avvicinò con l’innaffiatoio e la bambino lo pregò: «Non avrei più bisogno di essere innaffiata da voi così tanto, e potrei stare al sole, io amo così tanto il sole!»
«Hai ragione, ma noi non potremmo più trasportarti» intervenne Maurizio, versandole l’acqua sopra la testa.
«Ma io non voglio essere trasportata…»
«Su Rebecca non essere sciocca» tagliò corto Gianna, mentre alzava a bambina dal vaso.
«E smettila di agitare quei piedi»
«Ma io preferirei rimanere qui con voi e non avere mai sete!»
«Ma come? Non ti piace quando sei sul podio e tutte quelle persone ti guardano,ti ammirano e ti premiano per la tua bellezza?»
Rebecca non rispose, ma scosse un poco la testa.
«Un giorno non sarai più adatta a tutti quei concorsi» disse Maurizio.
«Diventerai troppo grande e non ti potremmo più trasportare. Allora potremmo discutere del piantarti nel terreno » continuò, le diede un buffetto sulla testolina coperta di foglie e si allontanò.
Gianna ormai aveva messo Rebecca nel nuovo vaso. Quindi si tolse i guani, ripose gli attrezzi e si alzò.
«Su Rebecca, non farei i capricci. Devi solo avere pazienza, ok?» disse, mentre si stava già allontanando. Rebecca annuì, mentre una lacrima salata, uguale a quelle di chiunque, le scendeva lungo la guancia, già leggermente secca.
E continuò ad aspettare.

Poche settimane dopo, Gianna e Maurizio la portarono ad un nuovo concorso botanico che si sarebbe tenuto in una cittadina piuttosto lontana. Era un avvenimento molto importante ed i due preparavano Rebecca ormai da settimane, addirittura Gianna si era sempre ricordata di darle l’acqua.
Si diceva che la giuria sarebbe stata spietata e che ci sarebbe stato un grosso premio di denaro e prestigio per il primo classificato. Gianna e Maurizio avevano già progettato l’allargamento del loro giardino botanico, perciò la vittoria era più che necessaria.
Rebecca fu favolosa e lasciò tutti a bocca aperta, nessuno aveva mai visto qualcosa del genere! Ne furono tutti così entusiasti, giuria compresa, che le assegnarono il primo, il secondo, il terzo premio e anche le tre menzioni d’onore!
Nei giorni seguenti, Gianna, Maurizio e Rebecca non ebbero un attimo di respiro. Passarono ore interminabili in balia dei giornalisti, sorridendo a tutti, bevendo vino, mettendo in mostra Rebecca e facendola fotografare da tutti.
Solo che, in mezzo a tutto questo trambusto, nessuno si era ricordato di dare l’acqua a Rebecca. Lei aveva cercato più e più volte di ricordarlo, ma i due erano così presi dalla vittoria che non la sentirono nemmeno. Gianna la liquidò con un: «Sssh! Rebecca, stai buona».
Una sera ci fu una grande festa per la vittoria. Maurizio e Gianna avevano posato Rebecca su un tavolo e l’avevano dimenticata, così come gli altri. Si addormentò
Quando qualche ora dopo aprì gli occhi, le palpebre le scricchiolarono come non mai. La pelle, ormai ridotta ad una corteccia secca e crocchiante, sembrava pronta a spezzarsi. Guardò verso il basso e vide che tutte le foglioline della sua testa si erano accartocciate ed erano cadute, morte. Le venne da piangere, ma la resina degli occhi si era così indurita che non riuscì a versare nemmeno una lacrima.
La stanza era ancora piena di gente, compresi Gianna e Maurizio, allora tentò di chiamare aiuto. Ci mise tutta la forza di cui era capace, ma riuscì a produrre solo un suono gracchiante e flebile. Nessuno se ne accorse.
Rebecca, a fatica, richiuse le palpebre. Immaginò che i suoi piedi e le sue radici poggiassero su di un terreno umido e soffice. Sentiva attorno a sé il vento tiepido ed il cinguettio squillante degli uccellini di bosco. Alberi più alti e grandi di lei la circondavano, la proteggevano e si spostavano perché potesse ricevere i raggi caldi del sole.
E lei non si spaventava a quel calore.
Non aveva più sete, ormai.

Quando Gianna e Maurizio si ricordarono di lei, trovarono solo un pezzo di legno secco, circondato da foglie morte.

2 commenti:

  1. bellissimo racconto. Non azzardo considerazioni personali sul suo significato. in ogni caso mi ha colpito molto. ciao e complimenti di nuovo...

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    1. Grazie mille! Mi fa proprio piacere che ti abbia colpito :)
      E benvenuto nel blog!

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