Alice fu dipinta da un pittore molto povero e piuttosto vecchio. L’uomo era solo, senza più una moglie e senza aver mai avuto figli, ma desiderava così tanto una bambina, che una notte decise di crearne una.
Era molto povero, così povero da non avere più fogli sui cui dipingere, perciò dovette utilizzare il muro candido di una piccola scuola elementare e, non potendosi più permettere i colori, dovette utilizzare vecchi barattoli di vernice.
Impiegò
quasi tutta la notte per creare la sua bambina, ma alla fine ci riuscì. Dipinse
una fanciulla minuta, con un lezioso vestitino nero dal colletto bianco e i
capelli rossi e ricci. La chiamò Alice.
A
lavoro finito ripose i pennelli nella logora sacca, guardò la sua bambina
dipinta, poi si voltò per tornare a casa. Si era appena incamminato quando
sentì una vocina alle sue spalle.
«Non
lasciarmi sola!»
Il
vecchio pittore si voltò per vedere chi avesse parlato, ma non vide nessuno, a
parte la bambina sul muro, che sembrava quasi, ma no, non era possibile! Non
poteva aver sbattuto le palpebre! Eppure, guardandoli bene quegli occhi azzurri
(e bisognosi?) gli sembrarono così vivi da provocargli un brivido lungo la
schiena.
Fece
per voltarsi di nuovo, convinto di avere solo immaginato quella vocina flebile,
ma la sentì di nuovo, questa volta più forte.
«Non
andare via, qui è buio!»
Si
voltò di nuovo con il vecchio cuore malandato che batteva forte. Vide di nuovo
la bambina, questa volta con i palmi rivolti verso di lui, quasi come fosse al
di là di un vetro.
Il
povero pittore gridò e, provando ad indietreggiare, inciampò.
«Cosa
sei??» urlò, non sapendo se rivolto alla bambina o al dipinto, o al muro.
«Sono
Alice!»
«Ma
non puoi essere vera, sei fatta di vernice!»
«Non
so di cosa sono fatta, però sono vera, mi hai creata tu» rispose lei.
Per
lo spavento, al vecchio pittore saltò un qualche ingranaggio cardiaco e morì.
Fu
Alice a rimanere sola.
Per
sua fortuna, non rimase sola a lungo. La mattina successiva, il cortile davanti
al suo muro era gremito di persone. Prima vennero degli uomini in divisa blu e
bianca, accompagnati da uomini in divisa candida. Questi sembravano tutti molto
interessati al vecchio pittore steso a terra, lo tastarono e poi arrivarono dei
signori vestiti tutti di nero che lo portarono via su una macchina lunga. Anche
la macchina era nera.
Dopo
averlo portato via, gli uomini blu e bianchi guardarono per bene Alice che,
spaventata per ciò che era accaduto la sera precedente, non si mosse.
Non
sentiva cosa dicevano, ma le lanciavano certe occhiatacce da farle gelare la
vernice nelle vene.
Finalmente
se ne andarono ed arrivarono dei bambini, tanti bambini, alti più o meno quanto
lei. Rimase tutto il giorno ad osservarli passare davanti al muro, ma non ebbe
mai il coraggio di muoversi. Loro però, non sembravano ostili nei suoi
confronti, anzi erano molto curiosi e si avvicinavano spesso al suo muro, con
gli occhi sgranati per la sorpresa di trovarla lì. La indicavano e poi
ridacchiavano.
Ad
Alice ne piacque uno in particolare: un bambino occhialuto, mingherlino e
abbastanza solitario.
Ad
un certo punto risuonò nell'aria un trillo insistente e fastidioso e, a quel
suono, tutti i bambini corsero dentro l’edificio.
Alice rimase di nuovo sola.
Alice rimase di nuovo sola.
Durante
la mattina, si udì spesso quel trillo prepotente, ma quando il sole iniziava ad
essere quasi alto nel cielo, suonò di nuovo ed i bambini corsero fuori. Si
sparpagliarono più o meno in ogni angolo del giardino, ma nessuno si avvicinava
a lei, avevano già tutti perso interesse.
Tutti
tranne il bambino occhialuto, che uscì dalla scuola con calma e si diresse
subito verso di lei. Si sedette sopra il marciapiede, dandole le spalle e,
molto lentamente e con estrema precisione, tirò fuori un panino.
Alice
aspettò un po’, poi si fece coraggio e disse: «Sembra molto buono».
Il
bambino si voltò per cercare la fonte di quella affermazione e, senza smettere
di masticare, vagò intorno con lo sguardo. All'ultimo, si fermò su Alice, che
era rimasta immobile. Lui però la guardò dritta negli occhi e disse: «Non è
male».
Si
fissarono per un po’, poi Alice si decise a muoversi. Lui continuò a guardarla
senza battere ciglio, dietro le spesse lenti e senza smettere di masticare.
«Io
mi chiamo Alice»
«Io
sono Teo. Come mai parli?»
«Non
lo so, credo perché chi mi ha disegnata volesse tanto che io fossi vera»
«E
dove si trova adesso?»
«Non
lo so, lo hanno portato via dei signori vestiti di nero»
Teo
rifletté un momento, fissando un punto imprecisato sotto Alice. Poi riprese a
masticare.
«Probabilmente
è morto»
«Già»
«Hai
proprio dei bei colori, Alice» disse Teo, masticando.
«Oh,
grazie!» rispose lei, mostrando un largo sorriso.
Rimasero
in silenzio per qualche altro minuto, poi si udì di nuovo il trillo insolente e
spacca timpani. Teo aveva finito il suo panino.
«Mi
piacerebbe tanto parlare ancora con te Alice, sei molto interessante» disse
lui, alzandosi e pulendo meticolosamente i jeans dalle briciole. Alice sarebbe
arrossita, ma era un dipinto e doveva accontentarsi dei colori che aveva.
«Grazie
Teo, anche io vorrei parlare di nuovo con te, mi sento tanto sola qui»
«Allora
domani tornerò qui a mangiare il panino» disse Teo, che però arrossì un poco.
Nel primo pomeriggio, il trillo squarciò l’aria per
l’ennesima volta. Di nuovo i bambini uscirono, ma questa volta non si fermarono
nel giardino, corsero bensì verso i cancelli dove le madri li stavano
aspettando. Alice cercò Teo fra la folla, non osava muoversi per la paura di
essere vista, non poteva nemmeno chiamarlo. Teo, però, si voltò verso di lei e
la salutò agitando la mano, poi andò sorridendo verso la madre.
Alice rimase sola, ad aspettare felice un nuovo
giorno da passare con il suo quasi-amico.
La mattina dopo, quando Teo arrivò nel giardino della
scuola, non trovò Alice ad aspettarlo.
In effetti, non trovò proprio niente, se non un muro
bianco.
Verniciato di fresco.
Verniciato di fresco.
Un capolavoro!
RispondiEliminaChapeau*
Grazie Alessandra :)
Eliminaun carissimo saluto!